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Černobyl – 33 years later – visti e raccontati dal fotografo Marco Travan

Il 26 aprile di quest’anno è stata la triste ricorrenza del 33esimo anno dell’incidente nucleare di Cernobyl . Per i più giovani questo nome non dice nulla ma, chi è un po’ più grande, fa ritornare alla mente l’incidente che è avvenuto presso la centrale nucleare e che ha coinvolto in primis l’Ucraina ma anche una buona parte dell’Europa e ovviamente anche l’Italia. Andando a memoria furono vietate la vendita di ortaggi, formaggi, latte e tutto quello che era all’aperto e che poteva essere stato contaminato. Purtroppo il decadimento degli isotopi radiottivi – in primi il cesio 137 – può durare svariati anni se non migliaia e questo fa si che l’area attorno alla centrale (e non solo) sia ancora altamente contaminata. Ogni anno l’area interessata dall’incidente è meta di persone che con indumenti protettivi vanno a visitare quello che è rimasto dopo l’evacuazione. Questo è il caso di Marco Travan, amico di Nonsolomodanews, che proprio di recente ha avuto l’opportunità di visitare Cernobyl e fare un reportage fotografico.  Ringraziamo l’amico Marco Travan per l’articolo e le belle fotografie a corredo.  Buona lettura! 

“Ero un ragazzo quando il 26 aprile 1986 si verificò l’incidente alla Centrale nucleare di Černobyl’. Ricordo le raccomandazioni provenienti dalla tv, radio e giornali, su cosa fare, non fare, mangiare; il pericolo che si affrontava era quello presente nell’aria.

Recentemente ho avuto l’occasione di poter visitare la città di Pryp”jat’, costruita nel 1970 appositamente per i lavoratori della Centrale nucleare di Černobyl’ e distante circa 3 km dalla stessa Centrale. Nel maggio del 1986, per evacuare la popolazione locale e prevenire l’ingresso nel territorio più fortemente contaminato fu istituita attorno alla centrale la c.d. “Zona di esclusione”, divisa in quattro anelli concentrici: il più piccolo di essi, che delimita il territorio più esposto alle radiazioni, entro 30 km dalla centrale, è la cosiddetta Quarta Zona.

Sono partito con la curiosità di conoscere quei posti dove accadde l’incidente nel 1986 e che portarono, per un certo periodo di tempo, anche a cambiare le nostre abitudini di vita quotidiana.

Una volta superato il primo check-point militare, si entra nel primo anello di sicurezza, circa 30 km e già si percepisce che qualcosa è diverso. Proseguendo per strade asfaltate 33 anni prima, si arriva al secondo check-point, sempre presidiato da militari, dove sono effettuati ulteriori controlli. Il territorio di questa zona è controllato da una Polizia speciale del Ministero degli Interni ucraino e i suoi limiti sono determinati dalle autorità di confine ucraine. Da questo momento ci si trova nel “cuore” della Quarta Zona, con un diametro di circa 10 Km.

Dopo aver superato alcuni villaggi abbandonati, un tempo abitati da contadini, si arriva nella città di Pryp”jat’. Il silenzio è irreale: sento solo il vento e il rumore delle mie scarpe mentre cammino tra le strade di una città che alcuni anni fa era viva, abitata da circa 50 mila persone e dove l’età media era circa 26 anni.

Il ricordo delle immagini viste, che raccontano la vita quotidiana degli abitanti prima dell’incidente, le passeggiate lungo i viali alberati, le gite in barca, gli atleti in palestra … tutto emerge nella mente con un frastuono quasi assordante. E’ triste pensare a cosa avresti visto 33 anni fa e cosa invece vedi oggi. Il dramma di migliaia di persone che nell’arco di poche ore hanno visto stravolta la propria vita: l’abbandono della propria casa, degli oggetti cari e, in molti casi, l’inizio di una battaglia durissima contro le malattie conseguenti all’esposizioni alle radiazioni. Radiazioni che, proprio a Pryp”jat’ raggiunsero livelli 1000 volte superiori rispetto a quelli dovuti alla normale radiazione di fondo.

Si respira la sofferenza: il trasferimento forzato e improvviso, la rottura di tutte le relazioni sociali create, emerge camminando all’interno degli appartamenti abbandonati. Pezzi di vita quotidiana sono ancora lì: quadri appesi, mobili in quello che doveva essere un salottino, una cucina ancora con i pensili presenti.

Continuando a camminare tra le strade e la vegetazione che ormai ha preso il sopravvento sul cemento, comprendo meglio la dimensione del disastro, il sacrificio dei “liquidatori”, dei militari, dei vigili del fuoco e soccorritori intervenuti dalle prime ore successive all’incidente, chiamati nelle operazioni di emergenza per il contenimento del disastro. Personale della Centrale e del centro medico locale, militari, elicotteristi, forze dell’ordine e pompieri non adeguatamente equipaggiati e preparati a una tale evenienza, operando in condizioni al limite della sopravvivenza e ricevendo altissime dosi di radiazioni, al di là del fondo scala dei dosimetri di cui erano equipaggiati. I primi ad intervenire furono i pompieri di Pryp”jat’, chiamati nella notte del 26 aprile per spegnere quello che pensavano fosse un normale incendio: uscivano sul tetto del reattore armati solamente di pale e badili per buttare in basso sabbia e boro sopra il nucleo radioattivo.

Ero partito con l’idea di una semplice visita a Pryp”jat’ ma, dopo due giorni passati tra le strade e negli edifici della città, sono tornato con la consapevolezza dell’immensità del disastro avvenuto e della sofferenza di uomini e donne che, incolpevolmente, hanno subito e vissuto questo evento ma che con il loro eroismo, hanno salvato da un disastro ancora maggiore l’umanità intera”.

Marco Travan 

Testo e fotografie di Marco Travan
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